Con questa intervista avviamo una serie di contributi sul tema dell’educazione musicale a cura di esponenti del Forum.

Abbiamo posto alcune domande a Mario Piatti (1), rappresentante nel Forum del Centro Studi e Solidarietà Maurizio Di Benedetto, tra i promotori e fondatori del Forum Nazionale per l’Educazione Musicale nel 2008 e figura di rilievo nel panorama della didattica musicale in Italia.

1. I grandi musicisti che si sono occupati di didattica musicale hanno in un modo o nell’altro sottolineato l’importanza della musica per lo sviluppo globale dell’individuo, da Jaques Dalcroze a Carl Orff che disse ad esempio “non di sola educazione musicale si tratta ma di formazione alla persona”, da Zoltán Kodály a Roberto Goitre. Eppure in Italia, considerata patria di arte e di musica, a differenza di molti altri paesi europei, questo pensiero fatica ad imporsi diffusamente, e la musica viene principalmente vissuta come ornamento, sano accompagnamento ma poco di più, sia nella scuola, sia in generale nella vita quotidiana.

Alla luce della sua esperienza e del suo percorso professionale, quali sono i fattori che hanno frenato e che impediscono l’interiorizzazione di questo assunto di base?

“L’importanza della musica per lo sviluppo globale dell’individuo” è un assunto che in questi ultimi anni, dal punto di vista della ricerca sperimentale e della riflessione teorica, ha avuto notevoli conferme che però sono rimaste appannaggio di una élite di operatori, insegnanti, esperti e sembrano non aver avuto, se non saltuariamente, risonanza nei mezzi di comunicazione di massa. Nel vissuto quotidiano delle persone la musica, o meglio, l’ascolto della musica, e ancora meglio, l’ascolto di canzoni è un riempitivo piacevole. Questo fa sì che non si avverta la necessità di approfondire il perché, il come e il cosa si ascolta. E’ un’abitudine per la quale non c’è l’esigenza di riflessione sui meccanismi percettivi, sugli effetti che tale abitudine ha sul nostro organismo e sui nostri schemi mentali, un po’ come non c’è il bisogno di riflettere sui meccanismi chimici che avvengono nel nostro organismo con l’alimentazione.

Per quanto riguarda la scuola, il discorso si fa più complesso, in quanto i docenti hanno invece il compito di offrire agli studenti la possibilità di uno sviluppo globale – intellettivo, emotivo, corporeo – che vada al di là delle pure esigenze di sopravvivenza e conduca i soggetti a farsi parte attiva – con la formazione alla cittadinanza – della gestione della vita sociale e dell’avvenire del mondo, sulla base di principi e valori condivisi. Per far questo anche la musica – il fare e il pensare musica – può portare un contributo che è insieme culturale e sociale in quanto la musica – le pratiche sociali come gli oggetti culturali – è una componente dell’esperienza umana e come tale deve essere conosciuta, esaminata, discussa, praticata.

Tra i fattori che hanno frenato e impedito l’interiorizzazione dell’assunto di base credo che i principali siano tre: l’assenza dell’educazione musicale nella scuola secondaria superiore; la scarsa, se non assente, preparazione psicopedagogica e metodologica di chi, in un passato anche recente, ha avuto l’incarico di insegnamento della musica nella scuola secondaria inferiore; l’assenza quasi totale di docenti con competenze didattico-musicali nelle scuole dell’infanzia e primarie. Di queste assenze e di queste deficienze è responsabile il legislatore”.

 

2. Qual è stata la scintilla che l’ha convinta all’inizio della sua carriera a dedicare la vita professionale all’ambito dell’educazione, alla diffusione e alla sensibilizzazione verso un certo modo di insegnare la musica, oltre che a continuare la ricerca in campo didattico-musicale?

 

“Per quanto mi riguarda ho avuto sempre un vivo interesse verso le attività educative da un lato e di animazione socioculturale dall’altro, tanto da scegliere di compiere gli studi universitari nella facoltà di Pedagogia. E’ stato quindi abbastanza ovvio e spontaneo che mettessi le mie competenze musicali al servizio di queste attività. Con le varie e diversificate esperienze nei vari ordini di scuola ho poi verificato la carenza degli insegnanti e degli animatori in merito al valore della musica come componente fondamentale dell’educazione globale dei ragazzi, e quindi mi sono dedicato ad attività formative in vari contesti. Quasi casualmente poi iniziato ho iniziato a insegnare nella Scuola di didattica della musica del Conservatorio, fatto che ha sicuramente segnato una svolta non solo nella mia professione ma anche, attraverso il contatto con gli studenti, nell’attenzione da porre alle concrete problematiche che ogni insegnante si trova ad affrontare nella vita quotidiana in classe”.

 

3. Lei ha incontrato e contribuito a formare molti di coloro che oggi, nei diversi contesti, si dedicano all’insegnamento della musica: quali sono i caratteri che secondo lei permettono ad un musicista di diventare un buon insegnante? E per contro quali invece sono quei caratteri che spesso impediscono, anche a ottimi musicisti, di essere dei buoni didatti?

 

“Un buon insegnante è colui che sa ascoltare molto; che sa entrare in empatia con i propri allievi; che sa acquisire autorevolezza non per il ruolo giuridico o per le competenze tecniche che ha, ma per la capacità di creare comunità, nel rispetto dei ruoli e nell’accoglienza delle diversità; che sa continuamente mettersi in gioco e rinnovarsi sul piano delle conoscenze e nelle applicazioni metodologiche; che non ha paura di dichiarare la propria ignoranza se sa di non sapere; che è capace di animare le situazioni in modo che tutti siano valorizzati e si rispettino. Un musicista è un buon insegnante se sa fare tutto questo attraverso il fare e il pensare le musiche, mettendo in gioco le proprie capacità e le proprie passioni musicali e valorizzando le capacità e le passioni musicali dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti, dei giovani”.

4. Se volesse rivolgersi a un giovane musicista, interessato a dedicarsi all’insegnamento, in ambito pubblico o nel privato, quali sono le esperienze e il percorso formativo che gli consiglierebbe di intraprendere?

 

“Per quanto riguarda le esperienze direi tutte quelle che riesce a fare, in particolare esperienze di musica d’insieme, sia strumentali che corali. Non aver paura di mescolare generi, forme, pratiche, curiosando nelle culture musicali del mondo.

Per il percorso formativo distinguerei due ambiti: quello più personale, che potrei definire di autodidatta, scegliendo le cose che al momento ti interessano di più, approfondendo tecniche, repertori, conoscenze che soddisfano i tuoi bisogni intellettuali e le tue passioni; e quello invece istituzionale, dove diventa essenziale inserirsi nei percorsi previsti dalla normativa vigente, ben consapevole che le discipline di studio e le pratiche didattiche in ambito universitario e/o Afam non sempre forniscono la formazione più adeguata ad affrontare le situazioni complesse delle classi e dei singoli studenti.

Sicuramente oggi è richiesta, a chi si dedica all’insegnamento, una grande forza d’animo, una profonda conoscenza degli aspetti psicologici e sociologici caratteristici della realtà giovanile, la volontà di un continuo aggiornamento che permetta di svolgere in modo adeguato il proprio ruolo di educatore e di promotore di cittadinanza attiva, un ruolo che porti a migliorare i rapporti sociali e a salvaguardare quei principi democratici impressi nella nostra Costituzione”.

 

Note

(1) Mario Piatti lombardo d’origine e toscano d’adozione, è stato docente di Pedagogia musicale nei Conservatori di musica di Venezia, Castelfranco Veneto e La Spezia dal 1982 al 2009. E’ membro del Comitato scientifico del Centro Studi Musicali e Sociali “M. Di Benedetto” di Lecco. Collabora con Istituzioni pubbliche, Centri specializzati e Associazioni, per l’aggiornamento e la formazione degli insegnanti e per progetti educativo-musicali. Dal 2007 al 2012 ha coordinato Musicascuola – Laboratorio musicale di rete degli Istituti Comprensivi di Pontedera (PI). Collabora come pedagogista con il Centro Risorse Educative e Didattiche dell’Unione dei Comuni della Valdera coordinando i progetti musicali dei nidi e delle scuole dell’infanzia e primarie.
Oltre a numerosi articoli su riviste del settore, ha pubblicato e curato diversi saggi di pedagogia musicale e, in collaborazione con altri musicisti, alcune raccolte di canzoni per uso didattico, su testi propri e di Gianni Rodari.